Il ministro della Salute Roberto Speranza ha annunciato la discussione di nuovi parametri per determinare il rischio delle Regioni. “Fondamentale il tasso di ospedalizzazione”
I parametri che stabiliscono il colore delle Regioni italiane potrebbero cambiare. Ad annunciarlo è il ministro della Salute Roberto Speranza. «In una fase caratterizzata da un livello importante di vaccinazione, è ragionevole che nei cambi di colore e nelle conseguenti misure di contenimento pesi di più il tasso di ospedalizzazione rispetto agli altri indicatori» – ha, infatti, dichiarato il rappresentante del dicastero in una riunione organizzata dalla nuova presidenza slovena Ue con i ministri di Germania, Portogallo e Slovenia.
La situazione sta mutando velocemente: da una parte il numero dei contagi e dei casi di variante Delta aumentano, dall’altra gli effetti della campagna vaccinale sui ricoveri e i decessi sono più che positivi. Ecco dunque che sono gli stessi governatori a chiedere al Governo di varare un nuovo metodo di attribuzione delle fasce a rischio. Nel frattempo, in attesa di un’azione ufficiale, sono tre le Regioni che rischiano a breve di tornare in zona gialla dopo che alla fine di giugno tutta Italia era stata dichiarata zona bianca (ne avevamo parlato qui). A causa dell’incidenza dei casi sul numero di abitanti, potrebbero essere coinvolte in un dietrofront Sardegna, Sicilia e Veneto con rispettivamente 33,2, 31,8 e 26,7 casi per 100 mila. Sono a rischio anche Lazio (24) e Campania (22). Secondo l’ultimo monitoraggio dell’Istituto superiore di sanità “il quadro generale della trasmissione dell’infezione da virus SARS-CoV-2 torna a peggiorare nel Paese con quasi tutte le Regioni e province autonome classificate a rischio epidemico moderato“. Rimangono, invece, a basso rischio Valle d’Aosta e provincia di Trento.
La richiesta avanzata dai presidenti di Regione ha avuto nell’assessore alla Sanità della Regione Piemonte, Luigi Genesio Icardi, il suo portavoce. «Dobbiamo cominciare a distinguere tra il contagiato e il malato in ospedale. Mercoledì, in Commissione Salute, uscirà un documento su cui siamo già d’accordo, in cui chiederemo al governo di togliere l’incidenza dei positivi dai parametri che muovono zone e colorazioni – ha annunciato a margine dell’inaugurazione del nuovo pronto soccorso dell’ospedale Martini di Torino. – Il rischio è di decidere delle chiusure per gente positiva a casa, quando il sistema sanitario è pienamente efficiente dobbiamo superare il parametro dei 50 contagiati ogni 100 mila abitanti».
Il documento contenente il parametro proposto, 50 casi ogni 100 mila abitanti, verrà discusso in Parlamento il prossimo mercoledì.
Intanto, in attesa dell’arrivo di settembre, ci sarà un’altra decisione da prendere e riguarderà la scuola. L’inizio del nuovo anno scolastico non è infatti così lontano e si dovrà stabilire se gli studenti potranno tornare in classe o se si andrà avanti con la Dad. Pochi giorni fa la Rete nazionale Scuola in presenza ha presentato un pacchetto di proposte al Comitato tecnico scientifico del Governo nazionale. Nella nota, dal titolo Protocolli di sicurezza per garantire la scuola in presenza nell’anno scolastico 2021-2022, si legge che secondo i dati ufficiali UNESCO l’Italia ha tenuto le scuole chiuse per un totale di 37 settimane dall’inizio della pandemia, il dato peggiore in Europa insieme con Repubblica Ceca, Lettonia, Lituania, Polonia, Ungheria e Slovenia. A livello regionale, inoltre, in Campania, Puglia, Emilia Romagna e Umbria gli studenti di alcuni cicli non sono mai tornati in presenza.
«Ad oggi – scrive l’organizzazione – l’evidenza scientifica internazionale è chiara e indubbia nel puntualizzare che le chiusure scolastiche non portano alcun beneficio nel contrasto alla pandemia e sono, anzi, associate a gravi effetti sulla preparazione, sulla salute fisica e mentale della popolazione scolastica, come evidenziato dal CDC americano, dall’ECDC2, dall’OMS3 e come riassunto in un recente articolo su Nature4: ogni periodo passato in Didattica a Distanza corrisponde ad un mancato apprendimento (come riassunto in questo articolo divulgativo di Lavoce la DAD è stata quasi totalmente evitata, nel corso dell’anno scolastico appena chiuso, in Paesi come l’Olanda, la Spagna, la Francia, la Svezia e il Belgio, che hanno mantenuto sempre la scuola in presenza durante l’anno scolastico, imponendo una sola settimana aggiuntiva di vacanza a ridosso delle vacanze pasquali nel caso di Belgio e Francia».
In particolare il protocollo evidenzia quelle che secondo la Rete nazionale Scuola in presenza sono delle contraddizioni all’interno della gestione dell’istruzione, come: la definizione di contatto stretto di una persona positiva e conseguente quarantena, l’utilizzo delle mascherine in posizione statica al banco, il miglioramento dei trasporti. La Rete, inoltre, ha reso noto che non esiterà nel chiedere “una procedura d’infrazione per lo Stato Italiano alla Commissione Europea, oltre ovviamente ad esperire le già utilizzate vie legali tramite ricorsi al TAR e al Consiglio di Stato” in caso di affermazioni diffuse a mezzo stampa che non riportino la realtà dei fatti, demonizzando e di conseguenza impedendo il ritorno alla didattica in presenza.
Per tutta risposta il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi ha dichiarato che “la scuola italiana è in cammino” e che sarà responsabilità di tutti, non solo del Governo, “lavorare per tornare alla normalità“. Anche il Cts, nel rapporto in risposta ai quesiti del dicastero dell’Istruzione, ha fatto sapere che la scuola è e rimarrà una priorità, così come la campagna vaccinale nelle scuole che coinvolga gli studenti e tutto il personale e il distanziamento o, se questo non può essere garantito, l’uso delle mascherine.
di: Alessia MALCAUS
FOTO: ANSA